Per un servizio di dedizione totale e gioioso che ci permetta di aprire, senza paura cuore, mani e porte ad ogni necessità che possa essere nel mondo. (P. F. Prinetti)
Alla luce del nostro carisma espresso dal Padre Fondatore nella prima lettera alla comunità di Genoni si vuole ribadire l’impegno per una crescita nella consapevolezza di essere proprietà di Dio chiamate ad amarlo con una vocazione santa quella del servizio d’amore. Oggi la Chiesa ci chiede di attualizzare il carisma alla luce delle opere di misericordia corporali e spirituali, come compimento del monito paolino: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” e attuazione del precetto evangelico “Qualsiasi cosa avete fatto al più piccolo di costoro lo avete fatto a me”.
Il Padre Fondatore ci ricorda che Dio ci ha chiamato a formare una famiglia, ad amarlo con tal fervore a servirlo con tale spirito di carità da essergli care in modo speciale ed ottenere grazie abbondanti.
La misericordia è una realtà concreta che chiede di essere incarnata nella storia dell’uomo di oggi. È necessario vivere la logica evangelica del dono, della fraternità, dell’accoglienza della diversità, dell’amore reciproco tenendo cuore e case aperte a qualsiasi bisogno ci sia nel mondo.
 
 
Realtà  operativa,  apostolica e missionario dell’istituto
“Andate e fate discepoli tutti i popoli”
Al centro della missione deve essere posto il Regno di Dio. La novità della prassi missionaria deve partire dalla riscoperta del Vangelo ritornando all’azione missionaria del Gesù storico. Gesù è il missionario del Padre e sceglie di andare oltre i confini della patria e della parentela dislocandosi da Nazareth a Cafarnao e anche da Gerusalemme verso la Samaria, superando la distinzione tra puro e impuro e la precettistica dei farisei. Egli sceglie di vivere tra coloro che sono considerati peccatori, esclusi, impuri ed emarginati e rivolgere loro la grande novità del Vangelo chiamandoli Beati perché hanno fame e sete di giustizia, perché sono aperti alla novità del Vangelo, perché soffrono violenza e persecuzione. L’avvento del Regno assicura loro la pienezza della pace.
Pur restando fermo l’orientamento evangelico della Missione, di fronte ai segni dei tempi bisogna immaginare un nuovo paradigma della missione: l’ad gentes va ricompreso oltre lo schema tra paesi cristiani e non, per ridisegnare di fatto l’atteggiamento di chi annuncia e di chi accoglie la Parola. Oggi è urgente: l’ad vitam che va compreso come disponibilità a servire la vita in ogni tappa, facendoci promotori della dignità e del valore di ogni persona. L’ad extra va interpretato come esodo dai propri schemi culturali e apertura all’altro, senza preconcetti di razza, di genere, di religione e stato di vita. L’ad pauperes include l’opzione anche dei nuovi poveri prodotti dalle guerre e dal sistema sociale dove vige la legge del più forte. Possiamo parlare di missione, dunque che ha una nuova coscienza delle alterità e trasforma i “confini” da attraversare: si passa dai confini geografici a quelli antropologici, ed esistenziali nel senso di un’uscita fuori da se stessi per andare verso gli altri. Con un simile stile di esodo ogni missionario assume il compito di divenire mediatore che si muove sul territorio per andare incontro all’emarginato, al povero che ormai si trova in ogni ambiente.
Si può ben dire dunque, che tutto ciò che si fa nel servizio ai fratelli ha il connotato della missione, pur nella diversità delle modalità di servizio, tutto nella logica del Magnificat diventa dinamismo carico di continua novità, nella docilità allo Spirito, per operare scelte concrete e con lo stile inconfondibile di una sinfonia che ha come nota dominante la misericordia.
Questa spinta della Chiesa ci dà il coraggio di desiderare la nascita di un mondo nuovo, maturando prima e sopra tutto in noi, la disponibilità di Maria, mettendo a disposizione noi stesse nell’interezza della nostra vita perché la grazia operi in noi e renda possibile ciò che a noi nella nostra piccolezza sembra impossibile.