Conversazione con le Iuniores 13/15 maggio 2019
Ho trovato molto interessanti gli argomenti che, in questi tre giorni, vi sono e vi saranno proposti, ma ciò che mi ha colpito particolarmente è stata l’espressione infanzia matura.
Un’espressione apparentemente contraddittoria in cui un termine nega l’altro: può esserci maturità nell’infanzia? No. Dobbiamo dire quindi che si tratta di un paradosso. Già l’accostamento dei due termini infanzia e maturità ci fanno capire che umanamente non è possibile una concordanza, che non esiste un legame logico. Ed proprio questa umana illogicità che ci introduce in un altro piano, quello di Dio, che agisce con un’azione non corrispondente ai nostri criteri, ma con i suoi, non sempre di facile comprensione.
Gesù con il paradosso cerca di far passare la logica di Dio sul cervello e nel cuore dell’uomo, con espressioni, diciamo illogiche, tipo: gli ultimi saranno primi, chi si innalza sarà abbassato, chi salva la vita la perde, una contraddizione attraverso la quale passa un altro concetto.
Le beatitudini evangeliche sono un susseguirsi di paradossi: beati i poveri, gli afflitti, i perseguitati, i miti… ma di che cosa stiamo parlando? Di realtà impossibili? Umanamente si, ma Gesù ci dice anche Io sono la Via. Lui è la via, la nostra strada, in un rapporto di sequela.
Anche il termine sequela, cioè andare dietro, può indurre in confusione, la sequela che Gesù chiede include una relazione, non si tratta di ripetere gesti, ma di vivere un rapporto, la sequela è la quotidiana conformazione al Maestro nell’identificazione dell’uno nell’altro, in un rapporto d’amore che fa di due una solo persona, per cui uno vive nell’altro. Questo lo ha già detto San Paolo: non sono più io che vivo ma Cristo vive in me.
Una sequela quindi che non si ferma alla ripetizione di gesti, a un semplice fare umano, ma i gesti e le scelte nascono da una intima unione tra persone, la stessa che unisce Gesù al Padre suo e a ciascuno di noi: un legame d’amore. Come il Padre ama me, cosi io amo voi. Rimanete nel mio amore. Restare in questo amore, viverci dentro, rende discepoli.
Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.. Questo è il mio comandamento che vi amiate l’un l’altro come io amo voi . Alla relazione con Dio e alla comunione fraterna è legata la possibilità di sperimentare la gioia del vivere da risorti, la stessa gioia proposta da Gesù con le Beatitudini, che umanamente si presentano come un paradosso, non basate su criteri umani ma su quelli di Dio che appunto per noi, sembrano illogici.
Dobbiamo confermarci in alcune certezza: se siamo risorti con Cristo viviamo di Lui, (Col.12,3-4) l’unione con Cristo risorto è il principio della vita nuova. Dio è in noi che lo sappiamo o no, che lo vogliamo o no. Viviamo in lui grazie alla grazia santificante che ci è stata data con il Battesimo e che ci ha incorporato in Cristo. Siamo figli della resurrezione, siamo risorti con Cristo, si tratta di entrare in questo dono di grazia con la fede nelle parole di Gesù che sono parole di vita eterna e di scegliere di conseguenza.
Gesù risorto è la verità che ci fa liberi, quella verità che annulla la contraddizione del paradosso e ci permette di entrare e di vivere nel mistero dell’amore trinitario che è appunto pace, dono, gratuità, nel fiducioso abbandono a questo amore.
A questo punto possiamo capire cosa significa infanzia matura. L’infanzia è l’età della dipendenza assoluta dai genitori, l’età in cui il papà e la mamma sono rifugio sicuro nel malessere e nella gioia, figure di riferimento che provvedono a tutti i bisogni, anche a quelli che il bambino non esprime. Questa certezza rende il bambino sereno, appagato, gioioso, si tratta di un rapporto fiducioso che consente al bambino di crescere e di aprirsi progressivamente alla vita in una molteplicità di relazioni fino all’età matura.
Nel nostro caso l’infanzia diventa parabola del rapporto che Dio vuole con noi, un rapporto fatto di fiducia e di abbandono. Gesù lo ribadisce continuamente: guardate gli uccelli del cielo non seminano, non mietono eppure il Padre vostro li nutre, guardate i gigli del campo non filano e non tessono eppure hanno vestiti più belli di quelli di Salomone. I cappelli del vostro capo sono tutti contati nessuno di essi cade senza che il Padre vostro lo sappia. Se voi date cose buone ai vostri figli tanto più il Padre vostro che è nei cieli vi darà quello di cui avete bisogno.
A questo rapporto, improntato a fiducia e abbandono, si riferisce Santa Teresina quando parla di infanzia spirituale, per indicare il giusto rapporto che si deve avere con Dio. Non si tratta di restare bambini, ma di conservare e curare un cuore di bambino che continuamente si appoggia al papà, perché sa che lui è sempre presente nella sua vita e che non lo abbandona mai. A questo riguardo il Signore afferma, anche se una madre si dimenticasse del proprio figlio io non mi dimenticherò mai .
Gesù pone la condizione del bambino, che fiducioso si abbandona nelle mani del proprio papà, come condizione essenziale per un autentico rapporto con Dio: Se non diventerete come un bambino non entrerete nel Regno dei cieli.
Percepire il bisogno di Dio, credere al suo amore è abbandonarci a lui è la modalità necessaria per vivere con lui una relazione sana e appagante.
Per noi Figlie di San Giuseppe la necessità di vivere come bambini abbandonati nelle mani di Dio, viene continuamente ribadita dal nostro venerabile Fondatore, quindi è parte della nostra identità spirituale.
Quali sono le condizioni che introducono nell’abbandono in Dio? Padre Prinetti dice:
“Sapersi e sentirsi deboli è il titolo a non essere abbandonati da chi ci ama” (Pens. N°118). Anzitutto dobbiamo riconoscere di essere deboli (Sapersi) ossia avere coscienza di essere limitati, ponendoci nella realtà che veramente siamo: esseri creati che dipendono dal creatore, riconoscono di avere avuto una nascita terrena e avranno una conclusione della vita umana. Questo serve per non incorrere nel mito dell’onnipotenza, cosa facile nella giovinezza quando si è nel pieno delle forze e delle energie fisiche per cui si crede di dominare il mondo e di non avere bisogno di nessuno, di seguire la propria volontà prescindendo da quella che ci ha chiamato alla vita e ha per noi un progetto di felicità. E’ la tentazione di un’autonomia senza Dio con tutte le sue pericolose conseguenze
Sentirsi deboli, avvertire la precarietà della vita, la fragilità della volontà, l’incostanza della nostra persona, nella quale, come dice la Scrittura, in un giorno mutano sette tempi, o meglio abbiamo un umore variabile, ciò che vogliamo fortemente al mattino lo neghiamo di sera, insomma siamo instabili per natura.
Da tenere presente che questa nostra mutevolezza non è un peccato ma è una componente della nostra natura, perciò non dobbiamo scandalizzarci di noi stessi, arrabbiarci e attribuircene la colpa, dobbiamo accettare di essere strutturati cosi, per non cadere nella mancanza di auto stima che ci rende tristi, sconfortati perché dopo tanto impegno e tanti sforzi ci ritroviamo con le stesse debolezze e difetti.
Fin quando la nostra attenzione si concentra sulla nostra persona e cercheremo in noi stesse la certezza delle nostre scelte, soprattutto quando si tratta di scelte che impegnano con Dio, faremo solo l’esperienza ella delusione, di impegnarci e di non vedere risultati, come i discepoli che faticarono tutta la notte per la pesca ma non presero niente, fin che non è arrivato Gesù è ha dato le indicazioni necessarie che Pietro percepisce subito: sulla tua parola getterò le reti, nonostante la stanchezza e l’esperienza del fallimento. Questo è il passaggio essenziale: sulla tua parola, rispondo alla tua chiamata non perché è facile e appaga le mie aspirazioni di affermazione umana ma perché mi fido di te. Solo affidandoci a Dio abbiamo la sicurezza della fedeltà ai nostri impegni perché non saremo noi fedeli a lui, ma lui a noi
La consapevolezza del bisogno di Dio, con la certezza del suo amore fedele, è il titolo, è il motivo di non essere abbandonati da chi ci ama, forse che la mamma punisce il bambino che cade quando sta imparando a camminare? No, le cadute fanno parte di un percorso. L’amore di Dio per noi è molto più forte di quello di una mamma, capace di trasformare la debolezza in forza , l’errore in momento di crescita.
Dobbiamo crederci e chiedere il dono dello Spirito Santo per capire e accogliere l’amore di Dio, abbiamo bisogno del suo Spirito, perché possiamo intuire l’amore di Dio solo attraverso Lui stesso: nella tua luce vediamo la luce.
Il Padre Prinetti dice ancora: Abbandoniamoci a Lui che sa rendere amabile la croce….L’abbandono in Gesù è l’uniformità intima della nostra volontà alla sua (Pens.119)
Con questa affermazione possiamo capire l’espressione infanzia matura. Mentre il riconoscere la fragilità e debolezza della propria persona abilita ad essere amati , per poter usufruire di quell’amore è necessario un atto della volontà, una nostra scelta. Il Signore non ci obbliga, aspetta la nostra libera adesione a lui, aspetta che lo cerchiamo e che gli affidiamo la nostra vita.
Aspetta una nostra scelta libera perché non ha bisogno di servi per lavorare, ma ha bisogno di figli da amare, e l’amore è vero solo se è libero, se non è libero può essere tutto, ma non è amore.
La scelta libera è possibile nella maturità, quando la persona ha raggiunto il pieno sviluppo delle facoltà mentali ed è in grado di decidere.
La libertà decisionale, nel vangelo, non è in contraddizione con lo spirito dell’infanzia che ci relaziona con Dio come bambini bisognosi, ma è la possibilità che, ponendoci sullo stesso piano di Dio, ci permette di scegliere, di dirgli si o no. Questa possibilità ci dà anche la capacità di avere il merito di quello che scegliamo, per il quale il Signore ci ricompensa in questa terra con il dono della serenità e della pace e ci darà la pienezza della vita nell’altra.
Osservate che Padre Prinetti usa il verbo all’imperativo, il modo del comando, in lui è il modo del desiderio del suo cuore che per le sue figlie vuole tutto il bene possibile, abbandoniamoci. Un verbo alla prima persona plurale, non dice tu o voi, ma noi, cioè tutti.
Possiamo ripetere con sant’Agostino: Il signore ci ha creato senza di noi, ma non ci salva senza di noi . La salvezza ci viene regalata ma non imposta, in noi c’è sempre la possibilità di accoglierla o di rifiutarla.
Accogliere la salvezza significa affidare a Dio la nostra vita perché la trasfiguri e la modelli secondo il suo disegno, senza false paure perché Lui sa rendere amabile la croce. La Croce è amabile quando è portata con amore, non con l’amore nostro che è fragile e povero, ma con l’amore di Dio che è infinitamente grande.
La paura è l’arma che spesso il diavolo usa per rallentare le nostre decisioni, per farci perdere tempo e impedirci di giungere alla scelta definitiva di affidare totalmente la nostra vita a Dio. Il Padre Prinetti ci dice in che cosa consiste concretamente l’abbandono , l’abbandono in Gesù è l’uniformità intima della nostra volontà alla sua.
Resto sempre stupita della precisione e della profondità teologica del nostro Padre Fondatore, nell’espressione l’abbandono in Gesù è racchiuso tutto il mistero della salvezza: Gesù è il Figlio amato dal Padre che dona la sua vita per i fratelli, solo in lui c’è salvezza, lui è la via per andare al Padre, abbandono in Gesù non è solo adesione intellettuale al suo mistero di uomo di Dio, ma è entrare in relazione con lui e vivere uno nel’altro, con lo stesso battito cardiaco, con lo stesso respiro, tanto da poter dire con san Paolo per me vivere è Cristo. In questo legame d’amore si realizza l’abbandono, ossia la consegna della vita all’Amore con la A maiuscola che porta a desiderare e a volere quello che desidera e vuole la persona amata, nella intima conformità della nostra volontà alla sua. Sempre P. Prinetti conferma: Questo è l’abbandono in pratica e con esso la pace.
Possiamo notare come abbiamo superato il paradosso di due realtà apparentemente in contrasto l’infanzia e la maturità, due realtà che evangelicamente sono necessarie l’una all’altra per integrarsi e introdurci su un piano di azione sopranaturale dove l’umano non viene negato ma integrato, viene trasfigurato dal divino che continuamente ricrea e fa nuove e belle tutte le cose.
Noi consacrate non siamo persone psicologicamente dissociate, costrette a contrapporre l’umano al divino, le esigenze del cuore a quelle delle grazia, anzi siamo persone perfettamente integrate nella nostra natura umana inserita in quella umano- divina di Cristo.
Questa integrazione ci consente di vivere il giusto rapporto tra cielo e terra , le radici dell’albero della nostra vita sono sulla terra ma le fronde sono protese verso il cielo da dove traggono energia e vita anche per mantenere vive le radici.
Gesù, via verità e vita, è l’anello di congiunzione tra cielo e terra, è l’anima dell’armonia e della pace, la sua pace, quella del Risorto.
Da ricordare: L’abbandono in Dio non è qualcosa che facciamo una volta per sempre ma è da rinnovare continuamente come orientamento del cuore che cerca la volontà di Dio percepita come sommo bene, come un fiore proteso verso la luce che lo fa vivere.
Riflessioni a caldo:
- Ho capito? Cosa non ho capito?
- Secondo te ci sono possibilità alternative, al di fuori del Vangelo per vivere nella gioia?
- Che differenza c’è tra gioia umana e gioia sopranaturale?
- C’è un legame tra la richiesta che fa il Padre Prinetti di vivere l’abbandono fiducioso nel Signore e la santa allegrezza?